[ Gv 3,13-17]
Nella Chiesa c’è posto sicuramente per tutti, non importa la provenienza, la situazione del cuore, il livello sociale o culturale, oppure il cammino precedentemente compiuto. Ciò che viene richiesto a tutti è la disponibilità ad aprire il proprio cuore all’ascolto della Parola di Dio e all’azione santificante del suo amore. È chiaro che con questa predisposizione interiore, prima o poi, tutti hanno la possibilità di cambiare vita, di trasformare il prima senza Dio, in un dopo dove Dio diventa il senso profondo della nuova vita di fede.
Ma quale spazio ha nella vita di un cristiano la croce di Gesù? La esaltiamo con la nostra vita di amore o la umiliamo facendone soltanto un segno superstizioso?
Per comprendere bene il significato cristiano della celebrazione della festa della esaltazione della Croce di Cristo, abbiamo bisogno di soffermarci a riflettere un po’ sul testo biblico della prima lettura, tratto dal libro dei Numeri (21,4-9). Qui è riportato l’episodio avvenuto durante il cammino del popolo di Israele nel deserto. A causa del morso dei serpenti velenosi, molti israeliti muoiono. Solo l’intervento di Dio produce loro salvezza. Probabilmente già usato nei culti religiosi pagani, in questo episodio il serpente diventa un segno mediatore della salvezza che viene esclusivamente da Dio. Per far cessare il terribile male, che faceva strage tra il popolo, Mosè fa appello alla fede dei figli di Israele e invita i malcapitati a volgere il loro sguardo al serpente di bronzo. Quello che Mosè chiede agli israeliti è uno sguardo di fede rivolto a Dio, uno sguardo che vede e sperimenta nel segno del serpente di bronzo non la morte, bensì la salvezza offerta da Dio stesso.
Molti secoli dopo, leggendo e meditando questo brano biblico alla luce dei racconti della passione di Gesù, i primi cristiani associarono il simbolo del serpente a quello della croce: il primo, il serpente, simbolo di salvezza per gli israeliti credenti; il secondo, la croce, simbolo di salvezza universale per tutti gli uomini credenti.
Nel suo dialogo con Nicodemo (Gv 3,13-17), è lo stesso Gesù a mostrare al suo interlocutore a quale prezzo l’uomo abbia ricevuto il dono della salvezza: la morte di croce. Nicodemo conosce bene l’episodio del serpente di bronzo, innalzato da Mosè nel deserto, per guarire gli ebrei morsi dai serpenti. Ebbene, Gesù spiega a lui che quell’episodio è figura di ben altra salvezza e di ben più profonda guarigione: la salvezza offerta da Dio mediante la passione redentrice del Figlio suo; la guarigione del cuore dell’uomo morente per il peccato commesso.
Come fu per gli israeliti, così ora a chi volge il suo sguardo al Figlio di Dio, consegnato per noi alla morte di croce, il Padre darà accoglienza nella sua casa come ad un vero figlio. È proprio sulla croce, infatti, che Gesù dimostra tutto il suo amore filiale e la sua dedizione al Padre; e dall’altra parte, donandoci il Figlio prediletto, il Padre manifesta tutta la sua benevolenza per gli uomini di ogni razza, popolo e cultura.
Attraverso la fede nella forza salvifica della croce del Signore Gesù, ad ogni uomo è offerta la possibilità di riconosce e di inserisce nella propria esistenza il segno concreto dell’amore di Dio per lui; un amore di Padre che è capace di salvare anche il più grande peccatore e di ricreare germi di vita eterna là dove la forza del male ha seminato solo esperienze di morte.
Ecco perché c’è posto anche per te, per tutti, non solo sulla croce per soffrire, per morire; c’è posto anche per te per entrare a far parte della grande famiglia, la Chiesa, formata da quanti per fede, con fede e grazie alla fede hanno fatto esperienza dell’amore di Dio Padre.
La celebrazione eucaristica altro non è, allora, che un segno di amore legato alla croce di Gesù; un momento privilegiato in cui l’elevazione di Cristo si rinnova come forza elevatrice di tutti gli uomini. In questa ascesa verso il cielo, allora, c’è posto anche per te!