domenica 16 marzo 2008

Ti amo anche da solo

[ Mt 26,14-27,66 ]


Non è certo la prima pasqua a cui Gesù sta per partecipare. A differenza delle altre celebrazioni del passato, egli sa che in quella di quest’anno la vittima sacrificale non è più un giovane agnello, ma lui stesso.

A nulla servono le voci chiassose di chi lo proclama re, figlio di Davide, di coloro che cantano “osanna” e di quanti stendono il loro mantello al suolo, al suo passaggio. Egli è diretto ad entrare nella città di Gerusalemme.


Non è certo un Gesù che si lascia incantare da quanto sta vedendo, dall’apparente accoglienza e riconoscenza di una folla festante che lo proclama il “benedetto da Dio”. Poco tempo prima, guardando da lontano la città santa, preparandosi all'incontro con questa folla festante, Gesù aveva pianto per la mancata di fede in lui dei figli del popolo eletto, di Israele, del popolo dell’antica alleanza.

Ora Gesù è qui, consapevole di non celebrare più la pasqua ebraica, la festa del ricordo della liberazione e della cena dell’agnello. Egli è qui, nella città santa, per offrirsi volontariamente come l’agnello di Dio, per il riscatto dell’uomo da ogni forma di schiavitù e di commistione con il peccato. Egli è qui anche per liberare l’ebreo osservante da una religione che è diventata cieca e sorda, che non sa riconoscere addirittura la venuta del suo Messia, del liberatore inviato da Dio. Gesù ora è l’agnello, l’agnello immolato, perché rifiutato. E proprio perché è il Figlio di Dio, venuto a visitare il suo popolo, egli continua a condividere il cammino dell’umanità sofferente, desiderosa di ritornare alla comunione con il suo Creatore.

Il disegno, che Gesù vuole realizzare "usquem ad mortem", è quello della prossimità di Dio, il quale non abbandono quanti credono in lui, nella sua parola e nel suo amore misericordioso. Il giovane Rabbi sa di essere un segno dell'amore del Padre per l’umanità intera. Sa di essere la mano tesa di Dio all’uomo, il quale cerca la via della libertà da ogni forma di peccato. Gesù lo sa e, benché sottoposto alla farsa di un processo tendenzioso e accuratamente orientato alla sua condanna a morte, non dubita della volontà del Padre, non retrocede in fedeltà, in fiducia, in amore a Dio e a quanti ancora credono in lui. Egli sa di essere il Figlio prediletto dell’Altissimo.

La via della passione, che sta portando Gesù al luogo della sua morte, si inerpica su per il pendio del Golgota, per la china di quel monte di peccati e di dolore che costituiscono insieme l’esperienza ultima: la morte di ogni figlio, Quello di Dio.
Lungo questo sentiero, che ha per méta la croce, assistiamo increduli al crollo dei discepoli, alla fuga di alcuni, al rinnegamento di altri, alla paura di tutti. Eppure questi formavano fino a poche ore fa il gruppo dei discepoli del Maestro di Nazareth; erano la sua famiglia, poiché erano coloro che avevano ascoltato la sua voce e avevano bramato di realizzare nella loro vita la volontà del Padre dei cieli. Ma, ora, dove sono?

Benché distrutto nella sua corporea umanità, Gesù prosegue anche da solo il cammino della croce. E nella solitudine, pur di restare fedele a Dio, passo dopo passo, avanza verso il sacrificio senza limiti di se stesso e del suo amore. Non si ama che così, senza limiti, senza mezze misure, fino alla consumazione totale del proprio cuore. Questa è la forza e la saldezza interiore di Gesù, il quale continua a restare fedele a Dio, e, così facendo, continua ad amare tutti e ciascuno, anche quando i suoi passi lo portano fuori dalle mura di Gerusalemme, rifiutato dalla stragrande maggioranza dei suoi abitanti.

Gesù se ne va solo, con la sua croce. All’appuntamento con la morte e all’apparente vittoria del Male e del peccato su di lui, egli si presenta da solo. Il giorno della collera e della veemenza del Male sembra avere il sopravvento sul Figlio dell’Uomo, sul Figlio del Bene incarnato nella storia dell'umanità, su quanto ha insegnato e su quanto fatto per risvegliare il cuore dei suoi discepoli al passaggio di Dio.

Ma anche nel momento più estremo, in cui avrebbe umanamente potuto soccombere sotto il peso del suo martirio, Gesù fa un ultimo gesto, si affida a Dio: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». Non è una semplice preghiera di abbandono, di fiducia disperata. È la vittoria della fede in Dio e la sconfitta del Male; è l’ultimo atto di volontà orientato a Dio, riconosciuto come il Padre attento al dolore del Figlio suo e di noi figli nel Figli.

Nel suo atto di abbandono al Padre Gesù apre la via della salvezza, che ogni credente abitato dallo suo Spirito può ora percorrere. È la via del ritorno a Dio. È la possibilità di rimettere nelle mani del Padre anche il nostro spirito. È, infine, un autentico atto di amore, quello dell’uomo che ritorna ad amare Dio anche dopo avere perso la propria vita lungo la via del Male.