lunedì 10 marzo 2008

Il Padre di Gesù rivive nei figli

[ Gv 11,1-45 ] 

Quello della Quaresima è un tempo, un viaggio, affascinante all’interno del proprio cuore. Lungo questo percorso di conversione e di rinascita ai pensieri e alle cose di Dio non si è mai soli. Passo dopo passo si affiancano a noi alcune pagine di Vangelo che la Chiesa, nella sua sapienza, ha scelto da molti secoli, al fine di accompagnare e guidare con amore la revisione quotidiana della fede e della vita dei suoi figli.

In questa quinta domenica di Quaresima è la volta della pagina evangelica di Giovanni, che ci riporta con dovizia di particolari il racconto del ritorno in vita di un uomo di nome Lazzaro di Betania, il fratello di Marta e di Maria, l’amico di Gesù.


Sconvolte e smarrite a causa della malattia e della morte del loro fratello Lazzaro, le due sorelle ricorrono all’amico Gesù, per ricevere da lui un conforto sperato. Esse, però, hanno una convinzione interiore, che esprimono con chiarezza solo a lui nel momento dell’incontro: “Se tu – Gesù – fossi stato qui...”, nostro fratello “... non sarebbe morto!”. Le loro sembrano parole sfacciate, quasi di accusa, di rimprovero – un po’ come se noi dicessimo al posto loro: la tua lontananza, Signore, il tuo indugiare a rispondere, il tuo evidente ritardo, la tua assenza hanno lasciato nel bisogno e nella solitudine il nostro fratello Lazzaro, tanto che la morte ha avuto il sopravvento su di lui e se lo è portato via. 

Al contrario, leggendo con occhi di fede il racconto dell’evangelista Giovanni, nelle parole cariche di sconforto di Marta e di Maria percepiamo la profondità dell’amicizia di queste due donne nei riguardi di Gesù. Si tratta di un rapporto amicale che va ben oltre il dato umano e si apre al mistero del divino, che esse intuiscono di aver conosciuto e toccato con mano nel giovane Maestro di Nazareth. Lui, Gesù, è un amico particolare; e questo lo ha dimostrato più volte durante le sue soste a Betania nella casa di Lazzaro. Le sue visite, le sue parole, i suoi insegnamenti, come la sua stessa amicizia, hanno risvegliato nel cuore di questi amici la chiamata ai pensieri e alle cose di Dio e a credere, in ogni situazione della vita, nella forza dell’amore di un Padre celeste. 

È a lui, al Padre del cielo, che Gesù si rivolge nel pianto, una volta giunto al luogo della sepoltura di Lazzaro. Non è più la casa dell’amico Lazzaro il luogo dell’incontro gioioso di queste tre persone con l’amico Gesù, bensì un luogo di morte, il sepolcro, dove tutto ciò che rende colorata e bella la vita viene ora ad assumere una tonalità di grigio, di tragico sconforto, di dolore infinito e di umana disperazione. 

È qui, al sepolcro, in questo luogo di desolazione, che si eleva al Dio dei vivi e non dei morti la preghiera del Figlio dell’Uomo: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 

È da questo luogo di umano abbandono al potere delle tenebre, dove i sepolcri altro non sono che i monumenti della vittoria della Morte sulla vita, che risuona l’eco di un grido di Vita, quello del giovane Maestro di Nazareth: “Lazzaro, vieni fuori!”. E lui è venuto fuori, dal potere delle tenebre, dalla Morte. Chi mai lo poteva immaginare! 

Chi mai poteva pensare che a un uomo venisse donata la possibilità di vivere, oltre questa esistenza terrena, un’altra vita. Eppure, Gesù lo aveva detto più volte, che per un disegno della volontà del Padre egli, la luce degli uomini, è stato inviato nel mondo perché quanti credono in lui non solo abbiano in dono la vita eterna, ma sia loro concessa la possibilità di diventare figli di Dio (Gv 1,12). 

Certo, è un miracolo quello che è accaduto a Lazzaro; un miracolo che dal dolore ha schiuso il cuore degli amici di Gesù alla gioia e ad una maggiore consapevolezza che lui, il Figlio dell’Uomo, oltre a condividere la storia di dolore e di morte dei suoi discepoli, a loro fa dono della divina esperienza della vita eterna. Come dubitare ora della vicinanza, della presenza e dell’amore di un Dio Padre? 

Fino ad allora, benché Gesù si sia recato spesso nella città di Betania per frequentare la casa di Lazzaro, non c’era stato alcun miracolo. Nella loro bella storia d’amicizia l’atteso Ospite portava ogni volta con sé il dono di una parola vivificante, illuminante, il dono della sua divina presenza. Ed è solo nel momento della tragica esperienza della fine della vita che, invocato con fede, Gesù orienta i passi di chi lo ha accolto con fede all’incontro con l’amore rivivificante del Padre. Qui sta il miracolo di una storia di evangelica amicizia, vissuta nello scorrere del tempo: scoprire come l’amore di Dio lega e non scioglie le più sincere tra le storia di amicizia. 

È un po’ quello che capita a tutti noi, nella nostra stessa vita dove, non conoscendo e toccando con mano l’esperienza di qualche miracolo, talvolta dubitiamo della vicinanza e della presenza del Padre celeste, fino a giungere anche a dubitare della verità delle parole del Figlio suo. Tuttavia, solo lasciandoci illuminare dalla parola del Vangelo, da Gesù stesso che dice senza mezzi termini a tutti noi: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me non morrà in eterno» (vv. 25-26), abbiamo la possibilità di rinnovare la nostra fede. 

Sinceramente, non abbiamo bisogno di altri miracoli nella vita, se non quello che già attendiamo con fede e che al termine della nostra esistenza terrena ci verrà offerto nel dono della risurrezione. Perché dubitare, allora? Anche noi siamo figli di Dio!