mercoledì 10 dicembre 2014

L'invidia delle altre 99 pecore

[ Mt 18,12-14 ]

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli».


Caro pastore Gesù,
non ci pare una bella cosa, Gesù, quello che hai appena detto. Va bene sorprendere gli ascoltatori con i tuoi discorsi ad affetto, ma spararle così grosse, non ci sembra proprio il caso. Adesso per te è più importante una sola pecora rispetto a tutte le altre? In fin dei conti noi siamo le 99 che sono rimaste fedeli e sottomesse ad ogni sussurro della tua voce. Quello che hai appena raccontato ci mette in secondo piano rispetto a "quella là”, la pecora smarrita.

Forse non ti sei accorto di noi? Se all’alba usciamo al pascolo è perché obbediamo alla tua voce; se non ci allontaniamo dal gregge è perché rispettiamo la tua voce; se alla sera ci incamminiamo velocemente verso l’ovile, senza fare mai tante storie, è perché siamo ancora attente alla tua voce; e se di notte non saltiamo il recinto, per divertirci altrove, è perché rispettiamo il tuo dormiveglia. E non facciamo molte altre cose, perché sappiamo che dobbiamo restare ferme al nostro posto. Non siamo certo come “quella là”, irrequieta e smaniosa di nuove avventure. A noi basta restare sicure all’interno del tuo recinto.


Se lei si è persa, è tutta colpa sua. Per una buona volta, si assume le conseguenze della testardaggine che ha sempre avuto. Le avevamo detto più volte di non allontanarsi dal gruppo, di restare vicino, di lasciare perdere i ciuffi d’era che stavano oltre il ciglio della collina. Ma lei niente. Se n’è andata per le sue vie, fino a perdersi del tutto. Certe pecore sono proprio così: si perdono per conto proprio e non certo per colpa tua, che sei un pastore attento e scrupoloso. Come si dice? Ognuno è responsabile del suo destino.

Cosa credeva poi, che bastasse chiamarci, per correrle in aiuto? Se avessimo ascoltato i suoi belati, non avremmo potuto ascoltare la tua voce, che ci chiamava a raccolta e ci incitava a prendere docilmente la via del ritorno. In certi momenti della giornata bisogna sapere a quale voce dare attenzione; e la sua voce ci risultava ormai estranea a quella di tutto il gregge: noi non diamo ascolto e non seguiamo la voce degli estranei! Così, accompagnate dalle luci del tramonto, come ogni sera anche questa volta siamo giunte all’ovile, tutte soddisfatte e rigonfie di pascolo. Come sempre tu ci hai conte una volta: risultato 99. Poi una seconda volta: sempre 99. Ci hai chiedi se sapevamo nulla della centesima pecora, chi l’aveva vista per ultima? Silenzio. 

E tu che hai fatto? Ci hai chiuse dentro il recinto, ci hai lasciate da sole, senza difesa sicura, per andare a… cercare “quella là”!!! L’hai cercata fino a notte fonda; l’hai trovata sicuramente in condizioni pietose. E che le hai detto? Che cosa le hai fatto? Nessun rimprovero!! Una bastonata? Una pedata nel sedere? Niente. Te la sei presa sulle spalle e, contento, l’hai riportata nell’ovile. E noi? 

Beh, che la storia sia andata come è andata, ci sta. Un po’ strana, però. Se non addirittura ridicola. In fin dei conti sei tu il pastore e sei tu che ti assumi la salute del gregge. Ma anche se “quella là” ora è ritornata all’ovile, non ci importa poi molto delle cure che tu lei hai prestato, così come hai fatto altre volte con noi. Quello che ci fa male dentro è che mai nessuna di noi è stata presa e portata sulle tue spalle. Lei invece sì! Lei, che non se lo meritava, lei l’hai presa sulle spalle. E noi? 

Ci siamo rimaste male, Gesù, altro che storie! E tu ci chiedi bello bello: “Che ve ne pare?”. Secondo te, cosa dovremmo provare vedere come la fedeltà e la sottomissione che ti abbiamo sempre dimostrato non siano state accarezzate da te allo stesso modo?