16 aprile
Non è sempre facile ammetterlo, eppure talvolta ci viene quasi spontaneo scegliere di sfidare Dio al gioco del tiro alla fune.
Ci sono cose di lui, del suo modo di pensare e di esprimersi, del suo modo di intersecare le nostre storie personali che vanno oltre i limiti della nostra comprensione, della nostra capacità di fidarci di lui. E allora lo sfidiamo a viso aperto, giusto per vedere chi avrà la meglio.
Da che mondo è mondo, è sempre stato così: avere a che fare con Dio è questione di coraggio; una buona dose di coraggio, che non è impossibile riuscire a coltivare, a raccogliere e a custodire con cura dentro lo zaino della propria vita.
Aperti, come siamo, all’ascolto e all’accoglienza della sua voce, i sogni che Dio ha su di noi padroneggiano confini molto più grandi di quelli che ci possiamo immaginare. Ciò che egli rivela a noi di se stesso, quello che spiega a noi di noi stessi, lo capiamo in minima parte. Tuttavia, in ogni sillaba delle parole da lui usate, in ciascuno dei gesti da lui compiuti, c’è la vibrazione di un tocco d’infinito divino, che magari riuscissimo ad afferrare in pienezza. Nel frattempo, Dio impiega ciò che per noi è impossibile per trasferire, accogliere, elaborare nel nostro vissuto umano il suo vissuto divino. È questione di amore, solo questione di amore, il suo per noi!
Di fronte all’inizio di una storia vocazionale, quando non è semplice comprendere in un istante i confini dei sogni e dei progetti che Dio ha su una persona e la misura della disponibilità di quest’ultima verso la chiamata di Dio, occorre valorizzare il lavoro preziosissimo del tempo. Oltre alla preghiera, nelle cose di Dio c’è bisogno di tempo; tempo per ascoltare, per capire, per fare proprio ciò che non è nella nostra natura, per digerire e per decidersi secondo la sua volontà. Quello che Dio desidera realizzare, avvalendosi dell’operosa collaborazione dei suoi amici e, in modo particolare, grazie alla disponibilità di coloro che lui ha scelto per sé, è il suo proposito di accorciare ogni tipo di distanza tra cielo e terra, tra le cose dello Spirito e quelle della materia. La risposta affermativa da parte di chi è stato scelto da Dio s’inserisce appunto in questo spaccato di santità e di non-santità, affinché la persona diventi oggi, camminando in mezzo agli altri, un segno visibile del possibile incontro reciproco tra Dio e l’umanità.
Ci sono cose di lui, del suo modo di pensare e di esprimersi, del suo modo di intersecare le nostre storie personali che vanno oltre i limiti della nostra comprensione, della nostra capacità di fidarci di lui. E allora lo sfidiamo a viso aperto, giusto per vedere chi avrà la meglio.
Da che mondo è mondo, è sempre stato così: avere a che fare con Dio è questione di coraggio; una buona dose di coraggio, che non è impossibile riuscire a coltivare, a raccogliere e a custodire con cura dentro lo zaino della propria vita.
Aperti, come siamo, all’ascolto e all’accoglienza della sua voce, i sogni che Dio ha su di noi padroneggiano confini molto più grandi di quelli che ci possiamo immaginare. Ciò che egli rivela a noi di se stesso, quello che spiega a noi di noi stessi, lo capiamo in minima parte. Tuttavia, in ogni sillaba delle parole da lui usate, in ciascuno dei gesti da lui compiuti, c’è la vibrazione di un tocco d’infinito divino, che magari riuscissimo ad afferrare in pienezza. Nel frattempo, Dio impiega ciò che per noi è impossibile per trasferire, accogliere, elaborare nel nostro vissuto umano il suo vissuto divino. È questione di amore, solo questione di amore, il suo per noi!
Di fronte all’inizio di una storia vocazionale, quando non è semplice comprendere in un istante i confini dei sogni e dei progetti che Dio ha su una persona e la misura della disponibilità di quest’ultima verso la chiamata di Dio, occorre valorizzare il lavoro preziosissimo del tempo. Oltre alla preghiera, nelle cose di Dio c’è bisogno di tempo; tempo per ascoltare, per capire, per fare proprio ciò che non è nella nostra natura, per digerire e per decidersi secondo la sua volontà. Quello che Dio desidera realizzare, avvalendosi dell’operosa collaborazione dei suoi amici e, in modo particolare, grazie alla disponibilità di coloro che lui ha scelto per sé, è il suo proposito di accorciare ogni tipo di distanza tra cielo e terra, tra le cose dello Spirito e quelle della materia. La risposta affermativa da parte di chi è stato scelto da Dio s’inserisce appunto in questo spaccato di santità e di non-santità, affinché la persona diventi oggi, camminando in mezzo agli altri, un segno visibile del possibile incontro reciproco tra Dio e l’umanità.
La richiesta che Dio ti sta facendo, molto di più di un normale cammino di fede o di un particolare itinerario spirituale, nel profondo della tua persona ti battezza alle cose di Dio. È naturale, allora, che tu avverta crescere in te il disagio di fronte a un qualcosa che percepisci non esserti chiaro del tutto ma che, a mano a mano che lo comprendi, fa risuonare l’invito al dono a lui della tua vita. Paure, dubbi, momenti di evangelica gioia, giornate cupe anche se con il sole in cielo, lacrime segrete, respiri di cielo… tutto si alterna nella tua mente e nel tuo cuore come la notte il giorno, come il giorno e la notte.
Puoi restare così, snervato nel tuo gioco vocazionale di tiro alla fune con Dio. Puoi duellare con lui a colpi di dubbi, paure, fiducia e affidamento. Sta di fatto, però, che corri il serio pericolo che ad un certo punto lui, Dio stesso, come se fosse stanco di un tira e molla di fiducia e di sfiducia, sia proprio lui a lasciare andare la presa di quella corda che usava per attirarti a sé.
E a questo punto che fai? Resti lì, con in mano la cima della corda, mentre ammutolito, impalato, con gli occhi sgranati e stupiti, guardi l’altro capo della corda non più teso ma, abbandonato e afflosciato a terra.
Per quanto egli ti possa amare di un amore infinito, per quanto possa fare i salti mortali pur di accendere in te il riverbero del suo amore, per quanto possa sognare per te l’infinito della gioia, Dio se ne va, perché, alla fine – benché Dio –, egli non può nulla di fronte alla tua resistenza, alla tua libertà di abbracciare altro rispetto a lui, come puoi abbracciare e legare la tua vita ad un’atra storia che non abbia nulla a che fare con quella di Dio.
Egli rispetta sempre la tua libertà, anche quella che tu possa giungere a scegliere di accontentarti di te stesso, di portarti a casa come magro trofeo una corda lasciata a terra per rispetto, il suo di te. Oppure?