15 marzo
Come avviene durante l’esecuzione di una partitura musicale, quando ciascun virtuoso è intento a leggere il succedersi ordinato delle note e a produrne con il suo strumento la fedeltà del suono, così anche nella vita di una comunità di fede le relazioni tra i suoi membri non capitano a caso.
Qualcuno potrebbe dire che tutto avviene per pura magia, al contrario, in una comunità di fede le persone interagiscono tra loro come fratelli e sorelle solo quando hanno modo di inverare in se stesse e negli altri un disegno molto più grande delle loro singole capacità creative; un disegno che, costruito con il concorso di tutti, ha a che fare con la stessa amorevole volontà di Dio.
In entrambe le dimensioni della fede, quella personale e quella comunitaria, vi è pur sempre una realtà che supera tutti. Si tratta di un modo diverso di guardare, di pensare e di entrare in relazione con la vita, soprattutto quando si è messi in contatto con il segreto vitale di tutto ciò che esiste: Dio guarda, pensa e agisce secondo una logica tutta sua, che non sottostà minimamente alle categorie di giudizio e alle leggi di azione di noi umani.
Anche se ha imparato a usare benissimo la lingua degli uomini, tuttavia, sfruttando scaltramente l’arte della comunicazione, Dio inserisce nel suo dialogo con noi parole, termini e riferimenti concettuali che ogni volta ci trascendono totalmente. Parole come risurrezione, amore oblativo, sacrificio redentivo… ci lasciano basiti, poiché avvertiamo in esse la forza di qualcosa che ci confonde infinitamente: ci sentiamo interiormente incapaci e fragili, non sapendo più come fare fronte all’immensità di significato che tali parole recano seco.
Eppure, proprio quando iniziamo a cimentarci con le cose di Dio, tutto ciò che ci supera immensamente, le realtà che esistono ben oltre la linea dei nostri confini umani – quali i limiti delle potenziali capacità di ciascuno o il confine dell’immaginazione fantastica per i più arditi nelle cose dello spirito –, ebbene, quando abbiamo a che fare con le cose di Dio, proprio quelle cose e realtà di cielo fanno risuonare dentro di noi la voce di una chiamata.
Nonostante il peso, talvolta invalidante, delle debolezze di tutti, nonostante il fatto che di fronte a lui siamo pur sempre fragili come vasi di creta, Dio stesso ci chiama al singolare e al plurale, per renderci portatori fidati di una speranza nuova, testimoniata eroicamente dalla nostra fede operosa nella risurrezione del Cristo.
Diventare messaggeri della speranza del Cristo si concreta in un luminoso impegno di vita, un dono di sé fatto a Dio con fiducia, coraggio e con dedizione totale; l’umile riconoscimento che davvero il Vangelo illumina sì i nostri occhi di fede, ma solo perché esso è un dono, anzi il dono di Dio, fatto a quanti lungo la strada dell’umanità hanno accettato la chiamata a risplendere nel mondo come i figli e le figlie della luce.