10 marzo
Anche all’interno della vita di una comunità di fede é possibile vivere, con più o meno intensità, con maggiore o minore gravità, l’esperienza del perdersi. Quando per un considerevole arco di tempo si è vissuto la non presenza a se stessi, lasciando che le cose attorno, le relazioni personali, arrivino ad influenzare gradualmente la totalità del proprio percorso di vita, prendendo la mano su quasi tutto, è scontato risvegliarsi improvvisamente da questa situazione di subordinazione e scoprire che la realtà esterna ha preso davvero il sopravvento sulla propria interiorità. In un battere di ciglio, ci si rende conto che la propria è diventata, ed è ora sul serio, una vera esperienza di smarrimento per distrazione.
Quando all’interno della vita della propria comunitaria di fede si vive nella confusione dei confini, soprattutto non si fa attenzione al rispetto del limite invalicabile dell’intimità spirituale propria ed altrui, si confonde la bellezza della comunione degli spiriti con una dimensione estremamente allargata della propria spiritualità interiore, fino a ritenere che si è più fratelli e più sorelle nella fede in conseguenza e nella misura in cui si è disposti ad annullare lo spazio della propria sacralità interiore.
Una dimensione esageratamente allargata della propria interiorità porta inevitabilmente alla tentazione del lasciarsi coinvolgere, senza prestare la dovuta attenzione, in esperienze e in scelte di vita pilotate dagli altri, scelte che non potranno mai inverare il sogno originalissimo e personalissimo che ciascuno reca dentro di sé. Abdicare la propria libertà interiore, in nome di una confusa appartenenza ad una particolare esperienza di fede, non rispecchia mai la volontà di Dio, semmai quella di un dio minore dal quale è inutile attendersi la stupefacente bellezza della propria gioia.
Per non perdersi, per non smarrire la propria sfera di intimità spirituale, pur facendo parte di una forte esperienza di comunità, è indispensabile curare molto la propria relazione intima con il Cristo, all’interno della quale è fondamentale vivere con vigilanza evangelica. È importantissimo considerare bene e attentamente a chi aprire la porta del proprio cuore, a chi concedere il diritto di parola sulle cose della propria vita e a chi dare il permesso di camminare spiritualmente al proprio fianco.
Volere raggiungere forzatamente la bellezza della condivisione propria ed altrui delle cose nello spirito, se parimenti non si crescere nella virtù dell’equilibrio nelle relazioni interpersonali, spesso provoca l’allontanamento dei fratelli e delle sorelle nella fede. La fagocità degli altri, e delle originalità presenti nella loro storia personale, se non è educata e superata dalla leggere della delicatezza nelle cose spirituali, essa è causa di molte relazioni comunitarie viziate e pericolosamente devianti, fino a giungere alla dolorosa esperienza del perdere se stessi e gli altri.
Ciascuno per conto proprio, e tutti insieme come comunità, presi per mano dalla quotidiana azione pedagogica del Vangelo, solo un’attenta e costante educazione della propria fede conduce a conseguire sempre di più la pace del cuore e la serena luminosità della mente. Ritrovare se stessi diventa l’inizio di una nuova, consapevole, esperienza di fede, quella del dono della propria vita al Cristo.
Grazia alla presa di coscienza dell’avvenuta perdita della propria interiorità è possibile passare alla scoperta di una nuova relazione con il Risorto, preziosa ed unica, fino ad arrivare al desiderio di donare a lui la totalità della propria vita. Nella perdita è possibile, allora, un guadagno, quello del vero ritrovamento di se stessi e, nel ritrovamento della propria identità, quello del dono della propria vita agli altri, questa volta solo per amore del Signore Gesù.