domenica 1 marzo 2015

Credere in Dio da soli e insieme


01 marzo

Ci si scopre appartenenti alla vita di una comunità di fede non subito ma un po’ più avanti nel cammino della propria ricerca di Dio. Inizialmente, è naturale e si preferisce fare i primi passi da soli, giusto per misurare se stessi in relazione al proprio timido incedere in un mondo, quello del sacro, del tutto sconosciuto, un mondo sperimentato fino ad allora in minima parte, giusto attraverso un’esperienza introduttiva, frutto del riflesso della fede di altre persone: genitori, parenti, catechisti, amici...

Ma proprio perché non si crede per contatto, ma per scelta, ecco che a un certo punto del cammino della vita, soprattutto in prossimità della soglia dell’età adulta, quando ci si trova da soli di fronte alle grandi domande sul senso della propria esistenza – prima cioè di decidere se fare un ultimo tentativo di immersione nel mondo del sacro, oppure se abbandonare per sempre ogni tipo di discorso e di esperienza fede –, si avverte il bisogno di misurare se stessi e ciò che a livello religioso si sta vivendo nella propria mente e nel proprio cuore, cercando una via per confrontarsi con gli altri, in modo particolare con un gruppo di persone già affiatato, solido e strutturato attorno ad argomenti e temi di tipo spirituale. Si giunge così a scoprire il gusto della condivisione della propria esperienza religiosa, della propria – personalissima – percezione di Dio, all’interno di una precisa comunità d’appartenenza.

Credere in Dio da soli e insieme forma, allora, i due lati, indispensabili, della medesima medaglia. Da un lato troviamo coniata l’immagine che raffigura la propria icona di relazione personale con Gesù; viceversa, l’immagine in cui sono raffigurare più persone attorno allo stesso Cristo, la comunità di cui si inizia a fare parte.

Benché l’incontro con Gesù avvenga all’interno della frequentazione spirituale di alcune persone, nei primi tempi l’attenzione alla propria persona porta tutti a essere rivolti su se stessi e sul vissuto religioso che si va via via costruendo interiormente. Molte delle parole che ruotano attorno all’intimità del proprio senso religioso hanno bisogno di essere interiorizzate, fatte proprie, assimilate in tutta la loro sostanza e vitalità. In seguito, la propria e personalissima scelta di fede gradualmente s’invera nella scelta, nella frequentazione e nella vita spesa all’interno di una comunità.

È una precisa scelta di Gesù quella di non escludere nella vita di fede dei suoi discepoli queste due dimensioni fondamentali, quella della fede personale e quella della fede comunitaria. Anzi, volutamente le mette in relazione tra loro, chiedendo ad ogni singolo suo discepolo di vivere rispettivamente una fortissima esperienza d’intimità con lui, suo Maestro, e al tempo stesso di sperimentare e verificare gradualmente la concretezza del suo amore per le cose di Dio all’interno della sua relazione con gli altri fratelli e le altre sorelle di fede.

All’interno, poi, di ogni singola comunità di fede, che si tratti di una piccola comunità parrocchiale d’appartenenza o di un grande movimento ecclesiale, a ciascuno abitante del Vangelo Gesù chiede da disponibilità iniziale a giocare tutto se stessi, fin da subito e senza scusanti di comodo, su due precisi valori, da lui ritenuti indispensabili per professarsi suoi amici: la semplicità e la bontà del cuore verso se stessi e verso ogni persona credente e non. Semplicità e bontà di cuore per i cristiani si manifestano come i più chiari riflessi della bellezza della loro comunione con Dio e con l’umanità.