venerdì 30 marzo 2018

C’è una notte che è davvero bello abitare

alla sera del giorno
29.03.2018

Senza che ce ne rendiamo veramente conto, c’è in noi la sciocca abitudine a vivere in modo dissociato. Ad esempio, a dare la colpa del nostro fastidio, del disagio, a volte del nostro pesante malessere interiore, a qualcosa che identifichiamo essere causato dalle altre persone, da un sistema sociale che non risponde più come un tempo ai nostri desideri di benessere; addirittura arriviamo ad incolpare il nostro ego che, diventato incapace di perseguire la realizzazione dei nostri sogni, a questo punto non ci piace più.
La sciocca abitudine è piuttosto la nostra mancanza di connessione con noi stessi, con il mistero di un Dio che ci invita a smettere di fissare il nostro sguardo sullo scorrere della sabbia del tempo, bensì a concentrare la totalità della nostra attenzione sull’unica fonte di risorsa e di fecondità sotto ogni aspetto: il nostro Centro.
Nella notte della vita ci troviamo tutti a camminare, a sederci, a dormire, a pensare, a soffrire, a stare, a gioire e a piangere, a pregare, ad abitare… con la pelle della nostra storia personale. Ma la notte è da vivere non più nelle sue negatività, piuttosto nella sua positiva dimensione di mistero e di affascinante preludio al nuovo giorno.
Anche dentro l’arco della nostra notte c’è allora un’esperienza da cercare e da fare con tutto noi stessi, quasi un imperativo, una parola d’ordine da tenere bene a mente, mentre i nostri piedi attraversano le dimensioni della nostra personale oscurità: è la parola unione. Iniziando proprio dai nostri pensieri, dalla compagnia sinuosa dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni, ricondurre al nostro centro interiore tutto ciò che abbiamo allontanato da noi stessi perché precipitosamente ritenuto inutile, noioso, incapace di darci subito un rapido tornaconto.
Quello di vivere la riunificazione di noi stessi è un delicato impegno d’integrazione in noi dei tanti frammenti del nostro vissuto, ogni dimensione del nostro esistere, raccogliendo e restituendo al tutto di noi stessi ciò che via via era diventata la parte mancante della nostra stessa vita.
Per te è facile, è questione di passione per noi, Signore, abitare la nostra notte, il centro vitale di noi stessi, il bisogno che avvertiamo di riunificare ogni dimensione del nostro esistere, la necessità di risparmiare le nostre energie vitali e la preoccupazione di non disperderci più lungo i sentieri del nulla. Tu ci suggerisci, Signore, di ricominciare a riunire noi stessi, unendo tra loro la vita del corpo con quella del nostro spirito, e ancora con quella della nostra anima; e lasci a noi la decisione di compiere questo primo passo, dopo avere riconosciuto la sacralità della nostra storia personale.
Sei proprio tu, Signore, a camminare dentro la nostra notte, a indicarci con il tuo dito la bellezza di ciò che non può andare perduto, a suggerirci di non raccogliere, ma di lasciare a terra, cose che alla fine potrebbero avvelenare la bontà del nostro esistere. Tu ci ripeti che, se abitata anche da te, nella nostra notte non ci perdiamo mai, non smarriamo più il tutto di noi stessi, ma ritroviamo sempre noi stessi sul palmo delle tue mani.
C’è una notte, allora, che è davvero bello abitare, quella del nostro ritorno a noi stessi e a te, Signore.