martedì 30 gennaio 2018

La salvezza sta proprio tra l’incudine e il martello

alla sera del giorno
30.01.2018

Nel suo cadere dal cielo, abbattendosi impetuosamente nel punto preciso del suo giungere, ecco che il martello tutto colpisce, tutto via via converte a una nuova forma. Per forza di cose, ogni metallo cede sotto il vigore di uno, due, tre… cento colpi, assestati a regola d’arte, con la precisa volontà di trasformare proprio in arte quanto il fabbro pensa di potere prima o poi creare con soddisfatto sudore.
Quando si tratta, invece, di una persona, di qualsiasi persona, è solo con occhi di compassione e di sincero trasporto che restiamo ammutoliti a guardare lo straziante spettacolo di tutti coloro che, malcapitati di turno, loro malgrado si trovano a subire la violenza di un martello esistenziale, tirato giù con forza, sul freddo letto di un incudine.
Ed è proprio tra incudine e martello che nessuno vuole trovarsi. È il desiderio di un non volere mai stare nel bel mezzo di un luogo di sofferenza, là dove nessuno pensa mai di transitare, sostare, fermarsi a lungo. La velocità da impiegare è quella della fuga da un’esperienza del tutto disumana. Eppure, in alcune particolari situazioni della vita il passaggio tra incudine e martello è del tutto obbligato; lo stare lì, nel mezzo di una prova di sofferenza, di vita e di fede sembra essere il finale scelto da un oscuro destino che nessuno vuole mai abbracciare.
Spesso non capiamo, Signore, il senso di un martello, che brutalmente ci colpisce, e del suo incudine, che impietoso ci blocca, ci lega a sé, e ci risuona dentro nel gelo del suo accoglierci inermi e indifesi. Quanto ci è difficile costruire con te, Signore, una relazione di fiducia, di abbandono filiale, di consolazione, credendo ancora alla promessa della tua prossimità, proprio quando ci sentiamo assediati da strumenti di violenza e di inarrestabile aggressività.
Nel tempo sospeso, che cerchiamo di vivere con occhi anelanti te, nello spazio di un fermo insopportabile, in attesa di mille possibilità di riscatto e di liberazione, di una cosa siamo certi, Signore: nonostante la veemenza del male cercheremo di essere e di restare noi stessi, anche senza la poesia di un vasaio che ci plasma. Noi stessi, anche sotto i colpi di un fabbro tutto affannato a forgiarci dentro e fuori, a temprare le volontà di ciascuno, a corroborare tutti al valore, non di un martello o di un incudine, bensì del tuo amore, il solo che ci insegna come stare ad equa distanza tra le graffianti forze del male, per riconquistare il punto centrale da dove amare te, Signore, nella libertà della gioia, dell’equilibrio e della serenità per questa vita e per la vita che meravigliosamente già tu ci lasci contemplare con gli occhi della nostra fede.