venerdì 30 marzo 2018

Dalle altezze agli abissi di Dio

alla sera del giorno
30.03.2018

Il passaggio è chiaro, un nuovo varco da oltrepassare, forse uno degli ultimi guadi da affrontare e da superare lungo il sentiero del proprio viaggio. C’è chi nell’impresa vi riesce con molta naturalezza, chi invece arranca ad ogni passo, chi non si fida dell’oggi e del domani, perché tutto gli sembra oscuro, più misterioso che facilmente intuibile.
Lungo la via dello spirito il cammino non comporta solo un ascendere alle altezze di Dio, ma anche uno scendere e un accogliere Dio nelle dimensioni più profonde della propria storia personale. E tutto avviene, più di ogni altro luogo, nel deserto interiore di ciascuno, metafora esso anche di quel mare e di quell’abisso che in noi convivono insieme da sempre e che, unititi ai paesaggi pianeggianti e montuosi delle nostre originali personalità, vanno a formare il luogo in cui giochiamo la verità di noi stessi e della nostra esperienza di uomini e di donne.
L’idea che attende di essere abbracciata da ciascuno è quella dell’immersione totale di se stessi, l’inabissamento di ogni aspetto del proprio esistere nel mistero della vita che a ciascuno è data da vivere, in un mistero ancora più immenso, più grande di qualsiasi altra persona.
Tuttavia, l’inabissamento di noi stessi nel mistero della nostra esistenza non comporta il nostro sparire per sempre al crocevia della storia, semmai il nostro ritrovarci uniti in Dio. Certo, è una visione di fede questa, su una di quelle esperienze più toccanti dell’esistenza umana che ha a che fare con il senso del limite ultimo, il proprio graduale dileguarsi e sparire dalla scena del mondo.
Come nelle ore della tua passione, Signore, anche noi sentiamo la forza trascinante di un bisogno di compagnia, il bisogno di inabissarci in una paternità con cui trovare il modo di resistere ai deserti contemporanei, ai luoghi della non presenza dello spirito di Dio stesso.
Se da una parte il deserto in noi implica il nostro distacco dalle persone e dalle cose – non per disprezzo, ma per recuperare una distanza contemplativa necessaria per non fare che persone e cose diventino i nostri idoli –, viceversa, è necessario che tu ci insegni, Signore, a prendere distanza da ogni realtà che ci circonda per imparare a guardare tutto con estasiato piacere per la sua bellezza.
Godere della bellezza delle persone e delle cose senza la frenesia del loro consumo, senza la brama di possederle, è quello che ti abbiamo visto fare fino all’ultimo tuo respiro. Il tuo deserto, Signore, ci insegna la distanza contemplativa, per ritrovare in noi Dio e la bellezza dei suoi doni.

C’è una notte che è davvero bello abitare

alla sera del giorno
29.03.2018

Senza che ce ne rendiamo veramente conto, c’è in noi la sciocca abitudine a vivere in modo dissociato. Ad esempio, a dare la colpa del nostro fastidio, del disagio, a volte del nostro pesante malessere interiore, a qualcosa che identifichiamo essere causato dalle altre persone, da un sistema sociale che non risponde più come un tempo ai nostri desideri di benessere; addirittura arriviamo ad incolpare il nostro ego che, diventato incapace di perseguire la realizzazione dei nostri sogni, a questo punto non ci piace più.
La sciocca abitudine è piuttosto la nostra mancanza di connessione con noi stessi, con il mistero di un Dio che ci invita a smettere di fissare il nostro sguardo sullo scorrere della sabbia del tempo, bensì a concentrare la totalità della nostra attenzione sull’unica fonte di risorsa e di fecondità sotto ogni aspetto: il nostro Centro.
Nella notte della vita ci troviamo tutti a camminare, a sederci, a dormire, a pensare, a soffrire, a stare, a gioire e a piangere, a pregare, ad abitare… con la pelle della nostra storia personale. Ma la notte è da vivere non più nelle sue negatività, piuttosto nella sua positiva dimensione di mistero e di affascinante preludio al nuovo giorno.
Anche dentro l’arco della nostra notte c’è allora un’esperienza da cercare e da fare con tutto noi stessi, quasi un imperativo, una parola d’ordine da tenere bene a mente, mentre i nostri piedi attraversano le dimensioni della nostra personale oscurità: è la parola unione. Iniziando proprio dai nostri pensieri, dalla compagnia sinuosa dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni, ricondurre al nostro centro interiore tutto ciò che abbiamo allontanato da noi stessi perché precipitosamente ritenuto inutile, noioso, incapace di darci subito un rapido tornaconto.
Quello di vivere la riunificazione di noi stessi è un delicato impegno d’integrazione in noi dei tanti frammenti del nostro vissuto, ogni dimensione del nostro esistere, raccogliendo e restituendo al tutto di noi stessi ciò che via via era diventata la parte mancante della nostra stessa vita.
Per te è facile, è questione di passione per noi, Signore, abitare la nostra notte, il centro vitale di noi stessi, il bisogno che avvertiamo di riunificare ogni dimensione del nostro esistere, la necessità di risparmiare le nostre energie vitali e la preoccupazione di non disperderci più lungo i sentieri del nulla. Tu ci suggerisci, Signore, di ricominciare a riunire noi stessi, unendo tra loro la vita del corpo con quella del nostro spirito, e ancora con quella della nostra anima; e lasci a noi la decisione di compiere questo primo passo, dopo avere riconosciuto la sacralità della nostra storia personale.
Sei proprio tu, Signore, a camminare dentro la nostra notte, a indicarci con il tuo dito la bellezza di ciò che non può andare perduto, a suggerirci di non raccogliere, ma di lasciare a terra, cose che alla fine potrebbero avvelenare la bontà del nostro esistere. Tu ci ripeti che, se abitata anche da te, nella nostra notte non ci perdiamo mai, non smarriamo più il tutto di noi stessi, ma ritroviamo sempre noi stessi sul palmo delle tue mani.
C’è una notte, allora, che è davvero bello abitare, quella del nostro ritorno a noi stessi e a te, Signore.


mercoledì 28 marzo 2018

Qualsiasi luogo è il luogo migliore

alla sera del giorno
28.03.2019

Per quanto una persona possa far girare all’impazzata su se stessa la sfera del mappamondo, per andarvi a cercare un luogo geografico diverso, migliore rispetto a quello in cui ha in quel momento i suoi piedi, non ci riuscirà mai, quel puntino di terra non lo troverà mai. Non c’è luogo più felice di quello in cui si vive, per essere ciò che si vuole essere veramente nella vita.
La tentazione che ciclicamente ritorna è di pensare che esista nel mondo un angolo eccezionale, fantastico, in cui poter essere più buoni, più amanti di se stessi e degli altri, migliori rispetto a ciò che pensiamo di essere in questo preciso istante. Non esiste luogo migliore per vivere, per pensare, per amare, per essere operosi nel cuore e nella mente rispetto a quello in cui la vita ci ha praticamente condotti. Infatti, non esiste una stanza più confortevole di questa, una casa più bella, una via più tranquilla, un paese più idilliaco, un… ammenoché non si voglia proprio cambiare pelle, cioè vita. Ma così facendo dovremmo allora accettare di non essere più noi stessi, bensì un’altra persona.
Se facessimo derivare il senso e il valore della nostra storia personale unicamente dal luogo in cui viviamo, sarebbe un vero disastro, la distruzione di ogni possibilità di trasformazione di ciascun angolo del mondo. Se una persona vuole lavorare per l’armonia, la pace, la riconciliazione tra gli uomini, il ritorno del sorriso sulle labbra di molti, qualsiasi luogo è il luogo migliore dove poter mettere mano alla trasformazione del tutto; e, quindi, perché non iniziare o continuare a farlo proprio qui, dove già siamo?
Tu ce ne hai dato l’esempio, Signore, quando volutamente hai scelto di restare là dove la volontà del Cielo ti aveva condotto, là dove sei stato ispirato a parlare, a fare, a essere un segno dell’amore verso tutti. Per te, Signore, era uguale essere a Nazareth, o a Cafarnao, o a Betania, o lungo la più sperduta strada della Palestina. Non era poi così importante per te dove eri, ma con chi eri, a chi parlavi, a chi stavi donando la gioia della tua presenza.
Con pazienza, Signore, insegnaci il rispetto del luogo dove ci troviamo a vivere, la delicatezza con le persone che incontriamo ogni giorno. Dacci la costanza di restare anche noi al centro dell’incrocio tra loro di mille storie di vita, dentro quella trama preziosa di relazioni, di emozioni, di sentimenti con cui ci piace avvolgerci a sera.
Se tu non smetti di abitare il luogo della nostra vita, non avremo pretese egoistiche, ma ci impegneremo a stare bene ovunque, per fare a tutti un gran bene.

Alla fine i nostri figli ci salveranno

alla sera del giorno
27.03.2018

Anche lungo la via dello spirito non siamo solo fratelli e sorelle tra noi, alcuni per noi sono padri e madri nelle cose di Dio, altri figli e figlie della nostra anima. Come accade tra le mura di casa, tra le mura della propria quotidianità, paternità e maternità, fraternità e figliolanza s’intrecciano tra loro nel male e nel bene, in dimensioni di crescita reciproca e in reciproci stati di conflitto e di regressione.
Oltre alla fraternità e alla paternità nella fede, c’è un mistero di delicatezza nel ruolo dei figli delle nostre anime, quando essi, invertendosi a un certo punto del viaggio le parti, giocano in noi un ruolo di rinascita, di riformulazione, di crescita… la nostra.
Ci sono giorni e momenti nella nostra vita fisica, psichica e spirituale, in cui sono propri i figli a darci il coraggio di un di più, di un di meglio, rispetto alla linea oramai quasi piatta dell’esistenza. Una provocazione al bello e al buono, quella dei figli di sangue e d’anima, là dove per tanti motivi noi preferiremmo sederci al bordo della strada, lasciarci andare oramai alla deriva, perché stanchi e stremati di camminare e di faticare per noi e per tutti.
Come padri e madri, sia nella vita sia lungo i sentieri della fede, non siamo immuni da giorni in cui desidereremmo arenarci ai bordi della speranza, restare seduti sulla banchiglia della negatività di un mare che si sta ghiacciando anche nel cuore, rassegnati alle ferite della vita, delusioni per non essere riusciti a realizzare neppure uno dei sogni di un tempo. Eppure…
Eppure, basta uno sguardo, l’incrocio furtivo dei nostri occhi con gli occhi dei figli, per infondere in noi l’orgoglio di un riscatto. Senza che i figli facciano nulla di così evidente per noi, nessuna sirena in un’operazione di pronto soccorso, la nostra, il loro stesso esistere ci spinge a essere migliori, a lasciarci scuotere dall’energia vitale della loro stessa vita, a risponderci d’animo ancora una volta all’incrocio dei loro stimoli, all’eco della loro voce, a fare della loro esuberante positività un respiro di rinascita, un passo in avanti di risposta alla vocazione all’amore. Com’è vero che i figli, tutti i figli, di sangue e di spirito, sono una vocazione al meglio di noi stessi, al rispetto della sacralità del nostro stesso esistere, al mistero di una vita, la nostra di genitori, che si salva solo nel dono estremo di se stessa.
Se l’amore per i nostri figli è amore per la nostra paternità e maternità, e se questo vale ancora molto di più che nei legame di sangue in quelli che possiamo chiamare i legami dello Spirito, allora aiutaci, Signore, a valorizzare la bellezza degli occhi dei nostri figli, quelli della carne, così come quelli dell’anima. Aiutaci a tuffarci dentro l’infinito della loro positività, della loro innocenza, del battito ancora giovane dei loro cuori e a lasciarci educare al silenzioso dono di noi stessi nel chiassoso riverbero della loro esuberante bellezza. Benché difficile da ammettere, è proprio il mistero dei figli a salvarci la vita.
 

martedì 27 marzo 2018

Quando il deserto ci salva per davvero

alla sera del giorno
26.03.2018

Per chi nella vita sa dove voglia andare, una volta imparato ad ascoltare e a seguire nella verità i desideri del suo cuore, anche nel bel mezzo del suo deserto esistenziale egli avverte interiormente come trovare la strada giusta per raggiungere la meta dei suoi sogni.
Nonostante che la maggioranza delle persone ritenga giusto l’esatto contrario, è errato pensare e credere che il deserto sia solo il luogo della perdita, dello smarrimento totale di se stessi, il luogo dove a un certo punto sia quasi inevitabile fare la drammatica esperienza della propria morte. Non solo spiritualmente, ma anche esistenzialmente, si può vivere e abitare interiormente il personalissimo luogo di solitudine, d’intimità estrema, di deserto appunto, come una via di liberazione da se stessi, dagli altri, un luogo unico di salvezza.
Grazie alla luce della fede, anche il più arido deserto esistenziale alla fine può costituire un tempo e uno spazio dove la preghiera schiude dinanzi ai propri occhi sentieri e orizzonti di liberazione e di salvezza da ogni malefica forza avversa.
Proprio la preghiera – momento divino innestato nel nostro deserto quotidiano –, può essere vissuta come un luogo e un tempo dell’intimità con Dio, di distacco dalle mille attività, l’occasione propizia per non correre il pericolo che tante cose diventino i nostri idoli personali, sostitutivi di Dio stesso e del suo primato in noi. Ebbene, anche se non producesse nulla di materiale, alcuna opera miracolosa, la preghiera è di per sé – e resta sempre – una magia in noi di Cielo, perché essa altro non è che un tempo segretamente produttivo per ritrovare noi stessi e la nostra comunione con Dio.
Per un dono della tua sconfinata generosità, Signore, il nostro spirito non smette di stare con te, di parlarti, di vivere nella mente e nel cuore alla tua presenza… tutto questo ci salva e ci aiuta a non smarrirci nella vita. Nell’esperienza della nostra preghiera, quando essa diventa intima, profonda, sentiamo come ogni respiro dell’anima alimenti per davvero la relazione tra noi e te; e tutto nella preghiera diventa il risultato di un vero e sincero incontro tra noi, Signore.
Come avviene all’interno di una ben salda relazione amicale, la prima cosa cui non potremo mai rinunciare è quella di stare fin d’ora l’uno alla presenza dell’altro, tenerci, cioè, reciprocamente compagnia, tu a noi e noi a te.
Sei proprio tu, Signore, a insegnarci che, prima ancora che una quesitone di parole, la preghiera è questione di “sguardo”, porci noi davanti a tuoi occhi amorevoli e permettere che il nostro incontro con te diventi “casa dell’amore”, il tuo nel deserto rifiorito della nostra vita.

lunedì 26 marzo 2018

Mano nella mano... e silenzio

alla sera del giorno
25.03.2018

È fonte di sicurezza sentire che la persona che ci cammina accanto a un tratto ci prenda e ci tenga la mano, una risposta a pelle, la sua, di sostegno e d’incoraggiamento ad affrontare le più svariate situazioni presenti nel viaggio della nostra vita.
Certo, talvolta la mano ha la presunzione di diventare una catena, una morsa stretta, per imprigionare la libertà dell’altro, per impedire che l’altro fugga via, lontano da se stessi. Ma anche la corda più lunga, anche il legame più forte, a un certo punto trova la sua fine. E grazie alla libertà ritrovata, ciascuno impara a fare silenzioso tesoro dell’esperienza delle mani.
Oltre che lungo il sentiero delle relazioni umane, con persone ancora vicine o con persone già da qualche tempo lontane, anche la dimensione spirituale della nostra storia personale fa esperienza del valore delle mani buone e del rispetto dei tempi di silenzio di ciascuno. Una scuola di mutuo sostegno, nella reciproca ricerca di quell’armonia interiore che è frutto del calore che proviamo dentro e attorno a noi; una positività, una fecondità di relazione, affinché una mano di Cielo accompagni i nostri passi di Terra. È nell’amorevole vicinanza della Paternità divina che l’umanità ritrova il coraggio dei suoi respiri, dei suoi passi, della direzione delle menti e dei cuori per un’avvincente storia di umana fraternità.
Non è la tua mano nella nostra mano che ci crea problema, Signore, anzi. Quante volte ci è di conforto sapere che tu ci sei, che resti accanto e in stretto contatto con ciascuno di noi. Tu non molli di certo la presa, perché è solo la forza del tuo amore che ci tiene legati a te.
Insegnaci, però, Signore, a capire il valore del tuo silenzio, il fatto che talvolta tu taci e non rispondi, non ci rivolgi subito la parola, nonostante l’impetuosità ripetuta delle domande che ti rivolgiamo. In ogni frangente della nostra avventura umana, tienici la mano, Signore, anche dentro il sentiero del tuo silenzio. Stretti a te, noi non ci smarriremo mai.

sabato 24 marzo 2018

Prendersi cura della propria ferita spirituale

alla sera del giorno
24.03.2018

È per un dono speciale dello Spirito santo che a un certo punto della vita iniziamo a comprendere quanto sia impossibile misurare il nostro cammino spirituale rifacendosi alle sole categorie del tempo vissuto e dello spazio attraversato. È impensabile contare i secondi, i minuti, le ore… i giorni, i mesi e gli anni lungo i sentieri tracciati da Dio; tanto meno misurare i centimetri, i metri… i chilometri percorsi fedelmente alla sua presenza.
Quelle che sono le categorie che quotidianamente usiamo e applichiamo alle nostre realtà umane, non sono assolutamente adatte per tutto ciò che è riferibile alla dimensione spirituale della propria storia di persone credenti e passionalmente coinvolte con la realtà sublime del Cielo.
Certo, possiamo cronometrare il tempo e misurare lo spazio giusto per averne un’idea, per darci dei punti di riferimenti più che umani ma, prima di ogni altra cosa, occorre imparare a verificare lo stato della propria vita alla luce del benessere spirituale che in essa si espande sempre più come conseguenza positiva delle scelte fatte di Vangelo e di fede.
Paradossalmente, parlando di stare bene dentro la pelle della propria fede, c’è una ferita spirituale invece che è quanto mai salutare mantenere tale, il primo risultato della benedizione di Dio sulla nostra vita. Si tratta di una ferita spirituale che ci tiene sveglie e operosi nel prenderci cura di noi stessi e della nostra personale salvezza. Quel taglio dell’anima che altro non è che l’esperienza più intensa che possiamo avere mai fatto di una percezione viva e palpabile di Dio nella nostra vita e non poterle gustare Dio in pienezza; un ritrovarsi già dentro le realtà di Dio e sentire che non lo siamo ancora totalmente. È il tormento dell’amore.
Davvero, Signore, non riusciremo mai a raggiungere la pienezza della tua presenza in noi? Eppure più ti sentiamo a noi vicino e più immaginiamo di esserlo anche noi a te, ma alla fine percepiamo la ferita di una distanza quasi insuperabile. Più ci avviciniamo a te e più tu ci manchi, più ti ascoltiamo e più sentiamo il bisogno delle tue parole, più ti mangiamo e più abbiamo fame di te, più beviamo te e più la sete di te ci brucia dentro il cuore e dentro la mente.
Ma lo sappiamo, Signore, che è proprio questa ferita spirituale che ci mette in guardia sulla verità, sulla concretezza, sulla positività delle nostre scelte, delle nostre opere, del nostro amore solo per te. Prenditi, dunque, cura tu di ciascuno di noi, così come noi ci prendiamo cura che la nostra ferita continui a ricordarci che tu sei il medico delle nostre anime.

venerdì 23 marzo 2018

Il rischio di perdere la parte migliore

alla sera del giorno
23.03.2018

È un rischio concreto, non certo fantasioso o immaginario, quello di perdere nella vita qualcosa d’importante, di prezioso, di unico e d’irripetibile. C’è una parte migliore di noi stessi non solo presente e custodita dentro le pieghe della nostra storia personale, ma anche attorno a noi, di fronte ai nostri occhi e sopra le nostre teste.
Anche lungo la via spirituale si può correre il rischio di perdere la parte migliore di un’esperienza che ha a che fare proprio con le cose di Dio: la gioia della fede, l’occasione quanto mai unica di centrale l’obiettivo dell’evangelizzazione di se stessi, la bellezza nel processo di spiritualizzazione del proprio viaggio.
Sicuramente lungo la via della fede la preghiera non è tutto, poiché ci sono tanti altri aspetti nella scoperta e nella pratica di Dio che non possono essere lasciati in secondo piano. Tra tutti gli strumenti dello Spirito, però, è proprio la preghiera a permettere al tutto di noi stessi di conservare il suo senso. Pregare ci permette di conservare una visione di senso sulla vita, sulle mille cose che la farciscono, compresi i tanti optional di cui pensiamo di non poterne assolutamente fare a meno. Viceversa, la mancanza della preghiera personale ci porta a perdere proprio la parte migliore di Dio: la sua intimità con noi!
Quanto è importante, Signore, che sia proprio tu a insegnarci la modalità giusta del pregare, il valore nelle cose dello spirito e l’essenziale nelle realtà della terra. Com’è giusto smettere di preoccuparci della perfezione delle parole, che spesso usiamo solo per cercare di pregare in modo a te gradito. Quanto invece tu gioisci dell’intensità delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti spirituali, affinché viviamo tutto noi stessi dentro una relazione di vicinanza con la tua paternità. Godere di stare alla tua presenza, Signore, con la semplicità e la fiducia proprie di un bambino, questa è la parte migliore che già da questa sera non volgiamo perdere mai.

giovedì 22 marzo 2018

Oltretutto, ormai non ci stupiamo più di niente

alla sera del giorno
22.03.2018

È una frase terribile, quella che sempre più spesso spunta sulle nostre labbra, quella che puntualmente ritorna a fare da sigillo a notizie e fatti che mai avremmo immaginato di sentire, di vedere, di trovarci dentro, con il subbuglio della sorpresa e delle emozioni.
Le cose perfette, che abbiamo emotivamente vissuto ieri, pensiamo che così perfette lo debbano essere anche domani. E nel momento in cui ci accorgiamo che per davvero i rapporti tra le persone cambiano a volte così velocemente da prendere in poco tempo strade impensabili, ecco che solo allora facciamo la concreta esperienza che nessuna cosa targata ieri sarà ugualmente così targata oggi e anche domani.
Lo stupore sta proprio qui, nel capire e nell’accettare che dentro la storia personale di ciascuno molte cose sono cambiate ancor prima che ce ne siamo realmente accorti, tante situazioni sono nate molti giorni prima rispetto al giorno del nostro risveglio incredulo alla verità dei fatti. Non è fragilità umana la nostra, è solo l’istinto a credere che il male è limitato nella sua potenza, che ci sono i supereroi nella vita, ai quali non potrà accadere nulla di irrimediabile. Invece…
La consapevolezza delle proprie fragilità, la certezza che nessuno è immune dalle ferite della vita, il fatto che siamo tutti facilmente vulnerabili, soprattutto nelle avventure del cuore, ecco, tutto ci insegna il valore dell’umiltà, la postura corretta di stare sempre a piedi nudi per terra, risvegliando dentro di noi l’impellente necessità a fare riferimento e ad affidarci giorno e notte alla luce del Bene.
Insegnaci, Signore un secondo stupore, quelle delle tue parole e delle tue opere per noi. Il tuo passarci accanto, il tuo intrattenerti amichevolmente con la nostra storia, l’amorevolezza della tua presenza accanto e dentro di noi, questo è uno stupore nuovo, che continuamente deve risvegliare la nostra anima.
Come restare desti alla stupenda magnificenza della tua prossimità? Come riversare nei giorni del nostro calendario il dono di grazia con cui vuoi rendere piena la nostra stessa vita? Insegnaci la scaltrezza del Vangelo, la capacità di vedere la verità delle persone oltre le apparenze, nostre e altrui, ad avere verso tutti sguardi di misericordia e verso noi stessi, secondo la legge del tuo amore, l’umiltà di ricomporre alla fine le nostre menti e i nostri cuori.

martedì 20 marzo 2018

Senza mai arrivare ad annoiarsi di gioia

alla sera del giorno
20.03.2018

Molte nella vita sono le cose che ci vengono a noia, tipo un giocattolo, un cibo mangiato a dismisura, un’amicizia senza prospettiva di crescita, un lavoro che rende solo schiavi, un idolo che alla fine non ha nulla a che vedere con la nostra salvezza.
Invano cerchiamo la felicità nell’infinito del tempo che ci scorre tra le mani; tentiamo di raggiungere traguardi di successo oltre la sacralità delle nostre stesse persone; vogliamo il di più di tutto, senza mai rinunciare a qualcosa di noi; camminiamo con un piede al di qua e l’altro al di là della linea di demarcazione tra bene e male… Nell’eccesso della nostra collezione di cose pensiamo di avere finalmente imboccato la giusta via per impugnare istanti, ore, giorni di felicità… ma, inevitabilmente, ogni cosa evapora nel nulla e anche noi dentro le nostre illusioni.
Tinteggiare d’arcobaleno la vita, pensando ogni giorno che siano quelli i colori della felicità, alla lunga ci sfianca, perché sono davvero tante le cose che si vorrebbero possedere, credendo che sia possibile scavare in esse e cercarvi dentro un briciolo di felicità.
Ma se la felicità è nell’illusione del possedere, la gioia, di gran lunga più grande e profonda, ottenuta ad oltranza, paradossalmente la gioia la si raggiunge solo nello svuotamento di se stessi. Alla fine tutti, nessuno escluso, ciascuno secondo la direzione del suo viaggio, tutti noi sentiamo il bisogno di intuire come provare a fare un passo oltre la felicità di un momento, per entrare in tempi e in spazi infiniti di gioia. Chissà mai perché? Forse perché siamo stati pensati da sempre proprio così, non come persone felici perché hanno qualcosa, semmai come esseri umani gioiosi perché si è qualcuno?
Non avendo nulla a che fare con l’ilarità, con il buonumore, con l’allegria di ogni giorno, la gioia è una pelle nuova della vita, una realtà mai conosciuta prima, se non dopo la nostra spogliazione da tutte quelle cose che egoisticamente noi possedevamo e che loro possedevano noi.
Che cosa cerchiamo al di là delle tue labbra, Signore, se non la fonte del tuo sorridere sempre e comunque sulla bellezza della nostra vita? Che cosa dobbiamo fare per smettere di cercare nelle cose la nostra felicità e iniziare a cercare dentro di noi la gioia del nostro essere tuoi?
Con te accanto, Signore, la nostra gioia esalta l’esistenza e la vita, pacifica la natura e il silenzio, dona soddisfazione per il lavoro compiuto, traspare la purezza dell’amore casto dei cuori… e tante altre gioie ancora, tutte belle, perché tutte ci parlano di te.
Ma più di ogni altra nostra esperienza di gioia, nella gioia che tu ci doni anche noi facciamo esperienza di quella ebbrezza del cuore che aveva invaso i discepoli alla discesa dello Spirito santo. È la tua gioia, Gesù, di cui non arriveremo mai ad annoiarci. 


lunedì 19 marzo 2018

Pensare non è un passatempo dello spirito

alla sera del giorno
19.03.2018

Le nuvole, soprattutto quelle grigio scuro, striate di nero, cupe e minacciose, non sono mai grandi quanto è immenso più di esse il cielo azzurro. Anche se nascondo dentro qualcosa di misteriosamente oscuro, di minaccioso e di tetro, per forza di cose esse non posso fare altro che arrendersi al passaggio di un colpo di vento e, con esso, scivolare via.
Per quanto i nostri pensieri a volte si rivestano dello stesso colore grigio delle nuvole, c’è in essi un’energia di positività, un battito d’amore per le cose belle della vita, per le persone che in essa arrivano e da essa se ne vanno ciascuna al suo sentiero. Anche i pensieri grigi non posso fare altro che arrendersi al passaggio di una carezza di luce, l’eco di una voce di bene che a sé attrae ogni cosa, ogni persona, tutto ciò che a sera cerca la sua armonia e la sua pace, una coperta di stelle, giusto per illuminare di infinito un’altra notte.
Pensare, Signore, non è un passatempo dello spirito, che in noi cerca la via del suo ritorno alla quiete del tuo respiro. Pensare è energia di vita, non un nostro passare con il tempo; è luce di positività pensare, capacità di guardare oltre i veli grigi della vita per non perdere il contatto con ciò che splende sempre e ovunque, nella buona e nella cattiva sorte del tempo che stiamo vivendo, il tuo amore.
Pensare è amare, te, Signore, nella mente e nel cuore, perché così tu ci hai pensato e amato per primo, così come tu anche questa sera ci pensi e ci ami nel tutto di te per noi.


domenica 18 marzo 2018

Tre ingredienti per una magia di Cielo

alla sera del giorno
18.03.2018

Gli ingredienti ce li mettiamo noi e sono tre, la magia, una, ce la mette Qualcuno che l’arte del Cielo la maneggia con meravigliosa maestria fin dai tempi antichi.
Si tratta di fare un lavoro di squadra in quella fantastica avventura che è la vita spirituale: ciascuno la sua parte, ognuno con la passione di mettere mano alla dimensione più preziosa, più delicata, di tutta la sua storia personale.
Appena le persone decidono di dedicarsi con particolare convinzione alla sequela del Vangelo, tutto diventa possibile in esse nella misura in cui i loro desideri si allineano via via a quelli di Dio, le loro scelte alle scelte del Cielo, le loro dimensioni esistenziali all’unisono alle dimensioni esistenziali di Dio stesso.
Ecco che gli ingredienti indispensabili per realizzare un’originale e appassionata sequela evangelica del Signore Gesù si precisano in tre. Anzitutto, la “diponibilità universale” a stare con lui, senza escludere dalla propria vita nulla, nessuna possibilità di modo e di luogo dove rimanere sempre uniti all’amore di Dio; è la scelta coraggiosa di vedere il proprio cuore dilatarsi alle misure infinite del cuore di Dio, lasciandosi portare dalla brezza del suo Spirito là dove non avremmo mai pensato di approdare da soli.
Secondo ingrediente, difficile da impastare con il tutto di noi stessi, con le mille derivazioni della nostra personalità, è la “sincerità”, cioè la corrispondenza tra le labbra e il cuore, tra quello che pensiamo di noi stessi e quello che poi noi siamo realmente, tra i desideri e i gesti concerti, tra i sogni e la realtà. La sincerità è quel metro di misura, quotidiano, che ad ogni passo verifica le luci e le ombre del cuore, i sentieri luminosi o tenebrosi aggrovigliati dentro di noi.
Infine, il terzo ingrediente è costituito dal binomio “decisione e perseveranza” nella scelta presa di percorrere fino in fondo la via spirituale; è la risposta di ogni giorno che, da una parte, intende restare fedele e legata al primo passo compiuto nella sequela di Gesù, al tempo stesso, è la risposta che in questo frangente ci fa cogliere ancora incamminati lungo la stessa via. Superare gli ostacoli è possibile solo se si ha l’ardire di non legare ad essi la metà del proprio viaggio. Mai mettere radici là dove incontriamo i problemi. La decisione e la perseveranza per le scelte fatte ci fanno vedere invece come le nostre radici siano molto più avanti, proprio là dove Dio ha già fermato i suoi piedi.
Ai nostri ingredienti, Signore, tu ci aggiungi la tua magia, una voce che sussurra ad ogni nostro passo il calore del tuo amore, il fatto che tu ci pensi non come vorresti che fossimo ma come siamo realmente, rispettando le nostre fatiche, prendendoti cura dei graffi e delle nostre ferite. Tu sei il primo a non rimandare mai a domani ciò che in un millesimo di secondo fai subito per tutti noi, ci chiami a te, a te ci stringi, tra le tue braccia lasci che ci addormentiamo a sera, con la fatica della strada nelle gambe e con la gioia nel cuore. Finalmente noi siamo arrivati dove sei tu, Signore. Buona notte! 

sabato 17 marzo 2018

Il ciclo immenso dell’anima

alla sera del giorno
17.03.2018

Quante volte capita di pensare a sera alla propria storia personale ponendosi idealmente a un metro di distanza da essa, giusto per guardare meglio la vita, non solo quello che vi accade dentro ogni giorno, ma anche per scorgere tutto ciò che vi scorre attorno, il mondo.
Più delle cose che vengono e di quelle che inevitabilmente se ne vanno, più delle emozioni e dei sentimenti che si rincorrono tra loro su e giù per gli incroci della propria vita, c’è un mistero che affascia tutti; e per accorgersene basta fermarsi un attimo e riavvolgere il film della propria storia personale. Si tratta dell’anima, un anelito di eternità presente in ciascuno, un gemito di vita presente in ogni essere vivente.
A differenza di ogni altra dimensione umana, più o meno facilmente misurabile, per l’anima si entra invece nella dimensione verticale della propria esistenza, siamo nelle dimensioni totalmente spirituali dell’esistenza umana, poiché ogni anima è tessuta di fili di Cielo, rivesta ogni giorno da un pensiero divino e, perché no, impreziosita dall’amorevole paternità di Dio.
È nella nostra anima, Signore, che gustiamo in anticipo la vibrazione dell’Infinito, là dove un giorno ritorneremo con un immenso sospiro di sollievo. Nell’anima sentiamo non solo la tua presenza, ma accogliamo in essa la fecondità della tua parola, un’opera diuturna, la tua, di guarigione e di santificazione di tutte le esperienze che abbiamo umanamente attraversato e vissuto appieno.
Ecco perché è estremamente bello a sera, un tocco di delicatezza del nostro animo, quello di ritornare a te con il pensiero e con il cuore, sperando che ciò che il primo giorno abbiamo ricevuto in dono a te ritorni alla fine del nostro viaggio. È nell’anima che facciamo la stupefacente esperienza di una partenza dal Cielo, avendo per missione il pianeta Terra e, al tempo che solo tu conosci, Signore, di un altrettanto sperato ritorno alle altezze del tuo amore. Così è il ciclo immenso dell’anima, così è il ciclo altrettanto immenso del tuo amore.

venerdì 16 marzo 2018

Riposare a sera è immersione nell’armonia del tutto

alla sera del giorno
16.03.2018

La fatica è proporzionabile all’orizzonte davanti a noi, più saliamo in alto, più fatichiamo per ascendere e raggiugere la cima del monte più alto e più l’orizzonte si allarga dinanzi al nostro sguardo. Gli occhi ammirano e contemplano meravigliati tutto attorno paesaggi l’uno diverso dall’altro, chiazze di prati illuminati, pendii scoscesi di monti in ombra, squarci azzurri di cielo, attraversati da carri ricoperti da bianche nubi.
Nessuno si accontenta di vedere qualcosa, osservare un solo particolare fra molti; il desiderio è del tutto, la pienezza rapita di un’emozione, la voglia incontenibile di fissare sullo schermo interno delle proprie palpebre la bellezza dell’infinito.
Un simile paesaggio incantato, ma abitabile benissimo dalla concretezza della vita, è possibile incontrare nella dimensione spirituale della propria storia personale. Anche lì, dentro a tutto ciò che distrattamente diamo per scontato, ecco che risalendo i pendii sempre nuovi della propria personalità, a un certo punto è possibile scoprire lo stupefacente paesaggio dello Spirito.
Quello dello Spirito è un mondo in cui l’umano e il divino s’incontrano in abbracci di misericordia, di armonia e di consolante affabilità. È il luogo privilegiato in cui è più facile guardarsi negli occhi, ritrovare la bellezza delle parole buone, benedirsi reciprocamente nello sforzo di superare le ferite della vita.
Una volta fuori dalle porte della città degli uomini, c’è possibilità, Signore, di entrare passo dopo passo nell’immensità di tutto ciò che reca in sé gli echi della tua voce creativa, la memoria sempre feconda di respiri e di sospiri d’amore, il tuo essere presente ad ogni cosa, perché ogni cosa esiste alla tua presenza.
Che cosa chiederti, Signore, se non il dono preziosissimo del rispetto di noi stessi, di te certamente, di ogni essere vivente e del creato tutto? In fin dei conti, non ci è difficile comprendere che, come noi, anche tu sei rimasto stupito al risultato magnifico della tua capacità creativa, e a sera, ritorni al luogo del tuo riposo, così come anche noi facciamo ogni sera: noi in te e tu in noi. 

giovedì 15 marzo 2018

Il silenzio ci ascolta!

alla sera del giorno
15.03.2018

Che cosa fa innamorare una persona di un’altra persona, una persona precisa, tra tutte le altre, di un’altra persona tra tutte? Rispondendo, c’è chi dice che l’amore è solo frutto del caso; altri demandano tutto alla scaltrezza della fortuna, altri ancora alle strategie d’arco di Cupido; alcuni ai giochi già prestabiliti del mistero dei cuori; alcuni, infine, un piccolo gruppo in verità, ritorna con il pensiero ad un disegno, ad una precisa volontà di Dio.
Certo, si possono mantenere aperte tutte le vie, non sbilanciarsi né per l’una né per l’altra. In amore avere una posizione centrale, senza pendere a desta o a sinistra è una strategia niente male, quasi sempre vincente. Ma l’amore ha bisogno di astuzie e di furbescherie per sopravvivere ai cambi di stagione del cuore, alle intemperie dei pensieri e all’impeto delle fluttuanti e improvvise emozioni? Certo che no!
Così come le persone hanno un corpo, uno spirito e un’anima, anche l’amore tra persone attraversa la dimensione dell’anima, dello spirito e di un corpo e, in un tutt’uno di senso e d’intensità, ogni dimensione si fonde alle altre per giungere alla pienezza dell’amore stesso. Lo fa ciascuno di noi, lo fanno tra loro tutte le persone che si vogliono un mondo di bene, lo fa Dio stesso con noi, che in Gesù si è fatto un indelebile segno – fisico, psichico e spirituale – dell’amore del Cielo per l’intera Umanità.
Quante volte, Signore, tu appoggi il tuo mento sul palmo della tua mano e te ne stai lì, in silenzio, a guardare come corpi, spiriti e anime, i nostri, parlano tra loro di cose del cuore, di sentimenti e di emozioni dalle sfumature più delicate? Guardi, taci e gioisci. Chissà cosa pensi, Signore?
Chissà che cosa ti verrebbe voglia di dire o di fare, Signore, quando vedi che le nostre storie iniziano a ingarbugliarsi tra loro, quando scioccamente i cuori non si capiscono più come un tempo, quando le lacrime diventano un mare dentro il quale le persone, una dopo l’altra, rischiano via via di annegare per egoismo e per stupida presunzione personale? Forse non pensi nulla, non dici nulla o non fai nulla; oppure hai già pensato, detto e fatto tutto quello che ti è passato per la testa e per il cuore.
Non smettere di ascoltarci, Signore, con il tuo rispettoso silenzio, attento più che mai a non violare il sacrario delle coscienze di ciascuno; sì, perché anche tu ti sei imposto in amore la legge della delicatezza e dell’amorevolezza così come, nel tuo Figlio Gesù, ce ne hai dato la prova più grande. Il silenzio è la forma più profonda dell’amore, l’ascolto innamorato della vita di chi ci abita il cuore. E tu ci ascolti, Signore, perché noi tutti abitiamo il tuo cuore! 

mercoledì 14 marzo 2018

E chi ha l’ardire di una pelle non nostra?

alla sera del giorno
14.03.2018

In un volto si è soliti leggere quei tratti della personalità che immediatamente ci aiutano a comprendere bene come stanno le cose per quella persona e per noi. È molto difficile fingere che tutto vada bene, mentire con gli occhi e con il sorriso, disegnare sul proprio volto pennellate di serenità, quando invece le cose vanno in modo diverso, quando anzi sono opachi e grigi i pensieri che ci attraversano.
Ogni relazione tra persone, per quanto possano essere tra loro più o meno amiche, passa attraverso l’epifania dei volti, dell’altro e di se stessi, di quel mondo fino a pochi istanti prima non del tutto percepito e compreso, l’interiorità di ciascuno. E nel volto ritroviamo il racconto di un’altra epifania, più grande e più completa, l’epifania della vita, tutto ciò che ciascuno possiede di se stesso, ciò che è stato tessuto da pensieri e da sentimenti, con la variopinta colorazione delle mille emozioni di ogni giorno.
Eppure, senza volto risultiamo sconosciuti, irriconoscibili non solo agli altri, ma addirittura anche a noi stessi. Senza volto non abbiamo immagine e somiglianza di Colui che ci ha amato, prima ancora che pensato, voluto, cercato e riabbracciato. Ed è questo abbraccio con una paternità di Cielo che ci costituisce, a buona ragione, membri di una famiglia chiaramente spirituale. Ogni pensiero, ogni emozione, ogni sguardo e passo verso la vibrante forza santificante dello Spirito è ora possibile nell’umiltà delle nostre persone.
Appunto, chi ha l’ardire di presentarsi davanti a te, Signore, spavaldo, impettito, tronfio di sé, sfacciato anche nello sguardo? Non è forse più congeniale alla pochezza della nostra vita mettere umilmente piede nel luogo dove tu sei, magari curiosando e sbirciando prima che cosa vi stia già accadendo, buttando già lo sguardo verso te magari da dietro lo spigolo di un muro?
Non siamo codardi, vigliacchi, Signore; non siamo neppure terrorizzati al solo pensiero che tu volga su noi il tuo sguardo, che tu a noi possa parlare di te e di noi. Siamo solo assai impacciati alla luce della tua presenza, tanto da non osare il primo passo dentro la sacralità del tuo respiro, rompere il cerchio dell’eco del tuo silenzio con la pochezza e vaporosità delle nostre parole. Eppure, non abbiamo ancora finito di formulare i nostri pensieri di ritrosia che già ci ritroviamo tutti dentro l’abbraccio del tuo amore, e questo ormai ci basta per farci sentire a casa, Signore, dentro la tua pelle. 

La Comunità orante in attesa dello Spirito

ieri CHIESA OGGI domani
alla riscoperta di Gesù, il Risorto,
vivo dentro la sua Chiesa

Milano, 11.03.2018

INCONTRO - 005
Lectio divina su At 1,12-14


LA SACRA PAGINA
At 1,12-14

12 Allora gli apostoli lasciarono il monte degli Ulivi e ritornarono a Gerusalemme. Questo monte è vicino alla città: a qualche minuto di strada a piedi. 13 Quando furono arrivati, salirono al piano superiore della casa dove abitavano. Ecco i nomi degli apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone che era stato del partito degli zeloti, e Giuda figlio di Giacomo. 14 Erano tutti concordi, e si riunivano regolarmente per la preghiera con le donne, con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui.

martedì 13 marzo 2018

Il poi dipende tutto e solo dal primo passo


alla sera del giorno
13.03.2018

Rispetto alla bellezza della vita, il giusto e naturale movimento del cuore è quello della sua dilatazione, non certo della sua egoistica contrazione. Solo in spazzi allargati c’è posto per raccogliere e trattenere, anche solo per un istante, tanti piccoli frammenti dell’Infinito.
La dimensione di un cuore sano, così come le dimensioni positive e interiori della sua corrente affettiva, è quella precisata dalla misura extra-large, un allargamento senza possibilità di arresto di ogni creativa capacità, potenzialità ed energia della propria voglia di amare il meglio di se stessi, il bello di ciò che si va svelando giorno dopo giorno, tutto ciò che, a un certo punto, si raggiungerà per davvero, alla fine del proprio viaggio.
Eppure, quello che sarà di noi un giorno, tutto sarà la conseguenza del primo passo compiuto molto tempo prima, il primo passo, quello che, più di ogni altra cosa, fin da subito ha fatto la differenza!
Superando ostacoli di non senso, saltando fossati di vuoti esistenziali, salendo ripidi pendii di crescita spirituale, riemergendo dagli abissi dei propri errori… ecco che ogni esperienza è sentiero, via, strada verso l’abbraccio dell’unica libertà possibile, verso l’avvolgente relazione della propria storia personale con l’Infinito di se stessi.
Lo riconosciamo, Signore; lo ammettiamo con onestà di coscienza, che non ci siamo mai convertiti al cento per cento. Benché ogni sforzo, nonostante il tuffo nel fiume del coraggio, il fiducioso sostegno di ogni affidamento a te, ancora abbiamo bisogno di un passo in più, un avanzare sulla via della pienezza della conversione.
E tu non allontani nessuno da te, poiché per te tutti sono degni di te; tutti possono compiere un passo, il primo, quello definitivo, quello santo, per dare a loro volta inizio e direzione alla propria vita spirituale.
C’è in gioco tutto, Signore, e tu lo sai: il tutto di noi stessi e anche il tutto di te, poiché proprio dal nostro primo passo dipenderà la riuscita dell’intero viaggio della vita. Per questo non possiamo fermarci, non possiamo assolutamente perdere tempo e coraggio, indietreggiare di fronte ai primi ostacoli: bloccarci a metà del viaggio, Signore, è come se non fossimo mai partiti; è come se non avessimo mai deciso di dilatare il nostro cuore, la coperta della nostra vita, per accogliere il più possibile una misura abbondante del tuo amore.

lunedì 12 marzo 2018

Ma anche il gatto di gomma?

alla sera del giorno
12.03.2018

Chi tra noi, come fanno tutti, non porta dentro di sé un ricordo, un affetto speciale per un oggetto, un giocattolo di un tempo, con noi diventato anch’esso grande, proprio con il passare degli anni? Nonostante che il viaggio della vita conosca un variegare di mete e di strade, un succedersi d’imprevisti o di riconferme di senso, qualcosa resta sempre con noi, dentro di noi, un legame che ci accompagna in ogni dove e non si sa fino a quando.
I ricordi non sono annodati solo a quello che fu un tempo, ma fra tutti certi ricordi abitano le mensole del presente e, senza chiedere il permesso, nel presente essi occupano spazzi che potrebbero invece essere sgomberati per abbracciare in essi nuovi significati e arpeggi fantastici di creatività.
Non tutti sono inclini a rinunciare ai pezzi preziosi del proprio museo interiore. Ben poche persone hanno la forza necessaria per impugnare con decisione e abbassare fino in fondo il freno a mano della propria vita, per muoversi lungo i sentieri della generosità di sé. La tentazione è quella di tenersi tutto, se proprio impossibile almeno uno dei giochi del passato, il gatto di gomma, anche se usurato dal tempo, sporco, completamente vecchio, ma pur sempre il proprio giocattolo, l’ultimo amico d’infanzia.
Se da una parte la vita avanza le sue richieste di generosità, e chiede a ciascuno la totale disponibilità a spogliarsi di tutto, per essere finalmente libero da ogni forma di possesso, la stessa vita è pronta a offrire in dono la totalità di nuove occasioni di crescita profonda in umanità e in spiritualità. Ma a questo punto, per afferrare il nuovo di noi, occorre avere le mani libere dal vecchio di noi. È questione di saper cogliere l’occasione d’oro che a un certo punto la vita offre a tutti.
Anche questa sera, Signore, ci dici di mettere da parte il nostro giocattolo, perché nello spazio e nella quiete della tua sera non c’è posto per nulla che non sia la nostra pelle. Niente giochi a letto, niente gatti di gomma, più nulla con noi di ciò che potremmo ancora pretendere di tenere ben stretto in mano, solo per compagnia, pena i capricci e i bronci di un tempo.
La totalità della nostra generosità è il coraggio di non rifiutarti nulla, Signore, neppure il vuoto delle nostre mani, accettando che tu possa chiederci proprio tutto, anche la totalità del vuoto, senza la scusa di un freno ben tirato, ma disposti a sgranare gli occhi di fronte allo stupore di un tuo nuovo dono. E il gatto di gomma sparirà, e la sorpresa di qualcosa di nuovo arriverà ben presto.