domenica 1 aprile 2018

Di distrazione in distrazione, fino alla lode di Dio

alla sera del giorno
01.04.2018

Quanto scioccamente accusiamo la nostra mente, il fiume dei pensieri e delle nostre emozioni di portarci lontano dalle intenzioni della nostra anima; una zavorra pesante, colma di noi stessi, che ci impedisce di elevarci alle altezze di Dio, e questo proprio quando ci eravamo risolti di raccoglierci in un gustoso e rasserenante atteggiamento di preghiera.
È qui, nel tempo in cui mettiamo in conto di vivere alcuni nostri istanti alla presenza di Dio, che con estrema normalità compare, insieme ai nostri desideri di lode e di adorazione dell’amore del Cielo, la verità pulsante della nostra storia personale. È un succedersi in noi, incalzanti e inarrestabili, di immagini, di ricordi, di preoccupazioni, di pensieri, di desideri, di emozioni e di sentimenti personalissimi. Tutto quello che nel tempo della preghiera ci passa davanti agli occhi, o che ritorna in forma di eco alle nostre orecchie, e mille altre emozioni, siamo soliti chiamare distrazioni della mente e del cuore. E alla parola distrazione ci è stato insegnato di dare una connotazione estremamente negativa, poiché si tratta di un peccato commesso proprio durante il tempo della preghiera, un peccato che ci sentiamo addirittura spinti a confessare, perché ci autoaccusiamo di essere stati verso Dio falsi, ipocriti, doppi, troppo legati ai nostri interessi personali e meno alla sua lode.
La domanda, allora, è: come chiudere fuori dal sacrario della nostra coscienza tutto ciò che ci vibra in petto, la memoria delle cose che già giacciono alle nostre spalle, il desiderio di quello che abbiamo in animo di realizzare quanto prima, perché acceso dal fuoco dei nostri propositi? Mentre da una parte ci rivolgiamo al mistero di Dio, al tempo stesso la nostra vita reclama le sue attenzioni, affinché non perdiamo tempo e ritmo per cose difficilmente misurabili, come quelle del nostro spirito in preghiera, piuttosto che per cose più concrete, come quelle della vita di tutti i giorni.
Ed ecco, allora, che mentre il desiderio del Cielo cerca di elevare la nostra vita alle altezze divine, i nostri pensieri ritornano al bene e al male presenti nell’intimo del cuore e della mente, alle persone che intersecano il nostro cammino esistenziale, alle preoccupazioni e alle pene quotidiane. Ogni cosa, ogni situazione in cui ci sentiamo trascinati a vivere, tutto ci torna utile per riconoscerci incapaci di pregare in modo degno e lodevole, perché distratti dal tintinnio dei frammenti della nostra stessa vita.
Ma la domanda della domanda è: e se fossero proprio le distrazioni a salvare le nostre anime? E se il nostro ritornare costantemente con il pensiero al nostro vissuto fosse il modo migliore per invocare la presenza di Dio dentro il passato, il presente e il futuro di noi stessi e degli altri?
Che cosa ci può venire in soccorso nel tempo che vogliamo dedicare alla preghiera, Signore, se non il ricordo dell’immagine del liuto e della melodia delle sue corde? Tu ci insegni che c’è una corda principale nello strumento della nostra preghiera, quella del nostro amore, della nostra passione per te, che suona e dà il tempo, il ritmo e l’intensità a tutto noi stessi. Ci insegni anche che le varie distrazioni, Signore, così com’è le altre corde del liuto, tutto si può accordare al suono della prima corda, quella principale dell’amore, affinché tutte insieme le corde trovino melodia e armonia dal nostro incontro con te.
Benedici, dunque, le nostre distrazioni, il ritorno al centro di noi stessi di tutte le dimensioni della nostra vita, perché in quel punto tu le possa tutte incontrare, armonizzare tra loro, e rendere melodia di cielo ogni suono terreno del nostro esistere per te.