alla sera del giorno
19.04.2018
Se a Dio si chiedesse di rispondere al numero infinito delle nostre domande, dovrebbe usare, oltre che la sua pazienza, l’infinito della sua eternità.
Non è una grande scoperta, ma nel mare delle loro domande le persone ci navigano da sempre, sia nella tranquillità delle onde piatte, sia dentro il vento burrascoso di una tempesta.
Che si tratti di domande a pelle, per considerare il caldo e il freddo della vita, vellutate o ruvide al tatto, domande che hanno a che fare con la materialità della propria esperienza, là dove le misure di se stessi e del mondo si prendono a tre dimensioni, ogni singola domanda diventa l’accenno, l’inizio di un sentiero oltre se stessi, in direzione della verità e dell’amore luminoso di Dio.
Altra cosa sono le domande di senso, quelle che ogni volta partono dal profondo di noi stessi e che cercano l’esatto opposto del nostro esistere, la dimensione più alta possibile della vita, un’altezza di significati e di manifestazioni del nostro abitare la realtà vivente del mondo, così come la dimensione del cielo in una via, in una verità e in una vita oltre la routine di giorno.
L’ultimo atteggiamento della preghiera, il quinto, è costituito dal tempo delle domande, da quelle dentro a quelle fuori di noi, dal di fuori a di dentro dei nostri vissuti; emersione ed immersione di interrogativi che abbracciano la totalità della vita di ciascuno, quella propria, quella degli altri, la storia personale di ogni uomo e di ogni donna.
E tu, Signore, ti siedi, tendi l’orecchio e ascolti le domande di ciascuno. Ti lasci afferrare dall’uncino dei nostri interrogativi, anche se poi, vai a capire perché, senza strattoni rispondi solo ad alcune tra le nostre smisurate richieste.
Mentre prendi con te, Signore, solo le domande per Dio, e a noi lasci le domande per gli uomini, ci fai capire che ti vengono a noia le domande retoriche, filosofiche, culturali, un po’ naif, giusto perché le persone se la tirino un po’. Tu preferisci, Signore, la fisicità dei nostri problemi, la nudità e la ruvidità dei nostri perché, le richieste più sincere e passionali frutto dei nostri spasimi di vita, perché in tutto ciò ritrovi una via da percorrere – il sentiero delle nostre domande – fino ad incontrare la verità e la fragilità dei nostri vissuti.
Ma fra tutte, la domanda più bella, la più intima e familiare è quella quando ciascuno di noi ti rivolge il suo grido e ti dice: “aiutami, Signore”, “non lasciarmi solo”, “soccorrimi tu”. È allora che tu ti tuffi dentro i nostri respiri, per ridare vita, per infondere forza, per ripetere a ciascuno e ancora una volta: “Io sono qui per te”.